martedì 30 giugno 2009

«Giotto o non Giotto?» A che serve sapere la verità?



SECONDO FO «GIOTTO ERA TROPPO
GIOVANE PER POTER AVERE UN INCARICO
COSI' IMPORTANTE NELLA BASILICA DI ASSISI»




Il grande artista avrebbe dovuto esibirsi avanti alla Basilica maggiore. «La Curia preferisce le canzonette alla storia dell’arte».



Domenico Sorrentino, presule delle 63 parrocchie di Assisi, lo ha detto a chiare lettere a Dario Fo premio Nobel di cambiar aria, di portare altrove lo spettacolo «Giotto o non Giotto?», che avrebbe dovuto andare in scena nella piazza davanti alla basilica superiore di Assisi.



Perché il veto?

Qualche motivo di natura religiosa, neppure troppo sorprendente in un autore come Fo, mai troppo tenero con il clero?

Tutt’altro: a irritare il vescovo Sorrentino è il contenuto «culturale» del monologo, nel quale Fo afferma che gli affreschi della basilica con le storie di San Francesco non sono attribuibili a Giotto come vorrebbe la tradizione.



Così la terra di Francesco respinge oltre i confini della Curia la disputa artistico-culturale sulla paternità del ciclo pittorico della navata della basilica e difende a tutti i costi una verità artistica un po’ traballante.

Lo fa il vescovo, che trova molti concittadini disposti a seguirlo. «Gli affreschi non sono di Giotto? A che serve questa verità - si chiedono - Tanto i pellegrini non lo saprebbero mai e serve soltanto a far crollare una magnifica illusione agli ultimi poveri assisani. Che ce la lascino, questa illusione...».



Replica, amareggiato, Dario Fo: «Questo è il segno dei tempi.

E' davvero un'espressione di quel retrivo conservatorismo culturale per il quale ogni alterazione dello status quo diventa un atto di blasfemia».

Per Dario Fo il veto del vescovo allo spettacolo - un monologo di cinque ore in due serate - altro non è che una forma di «censura preventiva».



. E intanto, nella stessa piazza, era stato montato il palco, le luci, gli amplificatori per il concertone del 12 giugno, con Renato Zero, Raf, Tiziano Ferro.
«Vanno bene le canzonette di fronte alla basilica di San Francesco, vanno bene le ragazze danzanti e perfino i numeri da cabaret ma, per favore, niente storia dell'arte», attacca, con una battuta, il figlio di Dario, Jacopo. Che spiega: «Ancora una volta un malinteso senso del sacro porta le gerarchie ecclesiastiche a praticare la censura».



Eppure, Dario Fo, che da perfezionista qual è si è documentato per quattro anni prima di decidere di portare in scena il contestato spettacolo, non è né il primo né il solo a sostenere che i dipinti di Giotto non sono di Giotto.



Sulla questione Giotto-non Giotto, Dario Fo - da Cesena dove si trova da qualche giorno per le prove dello spettacolo, previsto in anteprima nazionale per il 2 e 3 luglio - trova il tempo, di discettare su questioni propriamente tecniche: «In primo luogo Giotto era troppo giovane per poter avere un incarico così importante, anche se bisogna riconoscere che in un'epoca in cui a cinquant'anni si era già considerati vecchi, a venticinque si poteva a buon diritto ritenersi uomini decisamente maturi».


Quanto allo stile più di un elemento indurrebbe a credere che sia stata la mano di Cavallini e non quella di Giotto a realizzare il ciclo pittorico: «Basti pensare - si infiamma Fo - alla tecnica di stesura del colore, alle ombre, alle velature, all'uso dell'appretto».



Dario Fo del suo studio su Giotto potrebbe andar avanti a parlare per ore.

Ha studitao tutto nei minimi dettagli, per giorni, mesi, anni.

L'unica cosa che forse gli è sfuggita, quella cui non si è ancora abituato («nonostante alla censura ho ormai un allenamento di sessant'anni»), è proprio il rischio dell'esilio, l'ostracismo dettato dalla paura di una qualche grana.

Nei primi anni del XX secolo gli storici dell’arte tendevano ad attribuire a pittori conosciuti quadri e affreschi, come ad esempio il ciclo di affreschi della basilica di Assisi.






I dubbi.

Bruno Zanardi, restauratore della Basilica di Assisi dopo il terremoto del 1997 e storico dell’arte, a mettere in discussione la tesi vasariana dell’attribuzione a Giotto degli affreschi della vita di San Francesco della Basilica Superiore.

Zanardi riconobbe la mano di un pittore di scuola romana, forse Pietro Cavallini, l’unico grande pittore gotico stranamente assente dal Cantiere di Assisi.
L’attribuzione di Zanardi fu avvalorata da Federico Zeri, uno dei più grandi storici dell’arte.

venerdì 19 giugno 2009

Nude e senza Photoshop, prime indiscrezioni del calendario più atteso al mondo!



Terry Richardson è andato a scattare in quel’angolo di paradiso tanto selvaggio e suggestivo da essere persino convenzionale.



Regione del Nordest, a quasi 800 km da Salvador de Bahia. Palme svettanti, sabbia rosa, sfondo con laguna.

Siamo alla foce di Rio da Barra, nella spiaggia deserta di Trancoso, detta anche la Goa del Brasile per i trascorsi libertari.

Il fotografo ha ritmi serrati, a cavallo della bellissima Miranda Kerr, distesa sul bagnasciuga, nuda s´intende.

Foto di gruppo con tutte e 11 le modelle, tre australiane, tre inglesi, due brasiliane, un´olandese, un´ungherese e una serba. E anche quest´anno nessuna italiana.



Nella luce clemente e autunnale del tramonto, ci si sposta nell´entroterra, accanto a una pozza cui si abbevera una mandria di bufale macilente.

Le ragazze vengono fatte rotolare nel pantano, e poi fotografate vestite solo (o quasi) di fango.


Ogni modella alla fine della tumultuosa settimana sarà stata oggetto di quasi duemila scatti.

La selezione sarà draconiana: il Pirelli 2010, che verrà presentato a Londra nel mese di novembre, può sopportare al massimo 60 pagine; tutto il resto sarà incenerito.



Fotografo controverso e istintivo, tra i primi a ritrarre Barack Obama («una star, un divo, un uomo dall´enorme carisma») durante la corsa alle primarie, Richardson è un fanatico del realismo esasperato, del dettaglio esplicito, della provocazione.



E dunque un nemico giurato dei filtri, dell´abbellimento e dell´artificio in fase di post-produzione. “Non amo dare anima alle mie foto con la tecnica, voglio che le mie immagini catturino attimi di verità.

Le modelle le preferisco naturali, senza plastiche. E non faccio ritocchi. Anche se c´è un difetto lo lascio.

Il mio sarà un calendario più umano e meno stilizzato”.



Terry Richardson ama fotografare la gente comune per strada; quanto ai divi e alle top li preferisce nature e assonnati.

Scatta le sue foto nei bagni e nelle alcove, ritrae dettagli sgradevoli come una dentiera in un bicchiere, ma anche un modello che orina su un ferro da stiro fumante, una ragazza che munge una mucca con gesto masturbatorio, donne in bagno che vomitano.

Anche trittici di sesso estremo, molti trans, lui stesso in un autoscatto con un suo nudo frontale, sesso orale.

Nessuna autocensura.

Come interpreterà i canoni (e le gabbie) del Pirelli? “Non è il mio primo lavoro perbene e trasgredirò nel limite del pubblicabile”, rassicura.

Come spiega questa inversione di rotta? “Si evolve, si cresce, si cambia. Quanto al nudo, sarà comunque un nudo naturale”.

domenica 7 giugno 2009

E’ anche segno di cambiamento




Il Presidente Americano Barack Obama ha dedicato le ultime ore della sua visita in Europa all'arte e alla cultura, si è regalato un giorno da turista, insieme a moglie e figlie, con una visita al centro Pompidou di Parigi.



In particolare hanno visitato non solo la collezione permanente del Beabourg progettato da Renzo Piano e Richard Rogers nel 1971, ma anche le mostre sullo scultore statunitense Alexander Calder e il pittore russo Vassily Kandisky.

E’ anche segno di cambiamento il fatto che l’uomo più importante e potente del mondo vada in visita al più famoso centro di arte moderna Francese.

Normalmente un politico o un potente (sempre la ricerca dello status symbol) nutre interesse solo quando ci sono affari, il potere (in modo particolare la nostra casta politica) «usa» l' arte ottusamente per riempirsi la casa di opere al di là della passione e vera conoscenza, quello che conta è esternare nella lussuosa villa la “propria collezione...." (Normalmente dopo una corruzione….)




CENTRO POMPIDOU.

Centre Georges Pompidou, Parigi Complesso sito a Parigi e dedicato all'arte e alla cultura, realizzato su iniziativa dell'allora presidente francese Georges Pompidou, cui fu in seguito intitolato.
L'edificio in cui è ospitato, situato nel vivace quartiere di Beaubourg, nella zona del Marais, è una struttura in vetro e acciaio realizzata dagli architetti Richard Rogers e Renzo Piano. Fu inaugurato nel 1977.

Il Centre National d'Art et de Culture Georges Pompidou (detto più comunemente Beaubourg) ospita il Museo d'arte moderna (Musée national d'art moderne), allestito tra il 1982 e il 1985 dall’italiana Gae Aulenti; le collezioni esposte sono rappresentative di molti movimenti del XX secolo, in particolare fauvismo, cubismo e surrealismo, con un'attenzione particolare all'arte francese.

Vi sono conservate, tra le altre, opere di Henri Matisse, André Derain e altri pittori fauves; Pablo Picasso, Georges Braque e altri cubisti, oltre a un gruppo cospicuo di dipinti surrealisti; inoltre opere di Alberto Giacometti, Fernand Léger, Marc Chagall, Chaim Soutine, Constantin Brancusi.

Fra gli artisti di epoca più recente sono presenti Nicholas de Staël, Jean Dubuffet e Franz Kline, nonché espressionisti astratti americani quali Jackson Pollock, Andy Warhol e Robert Rauschenberg.
Il Centre Pompidou è sede anche dell'IRCAM (Institut de Recherche et de Coordination Acoustique/Musique), centro di ricerca sulla musica elettronica fondato nel 1976 e legato al compositore e direttore d'orchestra Pierre Boulez, dotato di una sala da concerto in cui vengono presentate opere di musica contemporanea.

Il Centre Pompidou ospita inoltre una vasta biblioteca di consultazione pubblica, un centro per il design industriale, oltre a importanti esposizioni e manifestazioni culturali.

"La rana e Venezia" (Biennale d'arte 2009)




E' stata inaugurata dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sabato 6 giugno la 53* edizione della Biennale d'arte di Venezia.






Inaugurazione anicipata da parte della Fondazione di Palazzo Grassi.
Una scultura posta nella Punta della Dogana, un luogo unico...

Un momento speciale quando François Pinault svela l’attesa e misteriosa opera: “A Boy with a Frog”, una scultura in acciaio bianco, un ragazzino che tiene in mano una rana, come mostrandola al mondo.

L’opera è di Charles Ray, da vent’anni uno dei più importanti artisti sulla scena contemporanea.

La statua guarda un immenso spazio vuoto, tra San Marco e il Canale della Giudecca, un luogo che come capita a Venezia è paesaggio contemporaneamente naturale e urbano.

La statua è circondata dall’acqua.
Acque in movimento, battelli, gabbiani.
Non a caso il ragazzo ha in mano una rana.
Un’opera che nasce dall’acqua....